Proviamo a partire dall’inizio. Il comunismo o peggio il socialismo di stampo marxista sono falliti in tutto il mondo. Falliti da anni. Sono falliti non per il proclamo di qualche economista sputasentenze o l’outlook di qualche agenzia di rating, ma perchè intere nazioni che sono state obbligate, quasi sempre con la forza e le armi, ad accettare questo modello economico alla fine stremati dalla povertà e dalla fame sono riusciti a rompere quelle catene di agonia e oppressione per abbracciare invece l’economia di mercato. Persino Cuba ha gettato la maschera. Tralasciando il caso anomalo cinese di cui magari più avanti si approfondirà rimangono ancora al mondo solo due stati da comunismo vetrina: la Korea del Nord ed il Venezuela. Sulla prima vi invito a guardare in rete i filmati girati clandestinamente che mostrano quelli che scavalcano il muro per scappare nella confinante ed ospitale Korea del Sud. L’internet che noi conosciamo lì non esiste in quanto è sostituito da una rete intranet koreana (denominata kwangmyong) a cui possono loggarsi solo persone autorizzate dal governo, non è possibile accedere a siti esterni e né tanto meno chi è estraneo può entrarvi, i siti navigabili nel complesso ammontano a poche migliaia. Diverso il caso della Repubblica Bolivariana del Venezuela che non applica questa censura alle notizie del world wide web pertanto chi lo desidera può recuperare informazioni preziose sullo status dell’economia venezuelana. Per chi non ne fosse a conoscenza, il Venezuela è uno dei paesi con il più alto rischio pericolo di morte al mondo: la sua capitale, Caracas, è considerata la città più violenta del mondo con più di cento omicidi ogni centomila abitanti all’anno. A chi si deve questo scenario socioeconomico ? La risposta è molto semplice: socialismo marxista imposto da Chavez negli anni precedenti e successivamente rinvigorito da Maduro, l’attuale presidente tanto amato (si fa per dire).
Prima di aggiungere altro, ricordiamoci il peso economico di questa nazione ossia la terza economia del Sud America dopo Brasile ed Argentina. Il principale driver di crescita economica è rappresentato dall’estrazione e raffinazione del greggio: il Venezuela è il nono esportatore di greggio al mondo con una quota di mercato prossima ai quasi quattro punti percentuali. La quotazione del greggio è passata dai 100 dollari del 2014 agli attuali 50 dollari con picchi di ribasso a 30 dollari nel 2015: questo ha impattato in misura significativa sui conti pubblici destabilizzando il governo e la sua capacità di controllare l’economia della nazione. Non che con Chavez si potesse considerare il Venezuela come una piccola Svizzera (titolo che invece spetta all’Uruguay), tuttavia il crollo delle entrate visto che tutta l’industria petrolifera è statalizzata non ha più permesso di garantire i livelli essenziali di vita alla popolazione. Si parla tanto di crisi umanitarie in Africa, tuttavia in Venezuela stanno andando in scena da più di un anno i preparativi per una guerra civile che ricorderà su alcuni fronti quello che accadde in Argentina nel 2001. Il Venezuela paga le conseguenze del chavismo (da Hugo Chavez) ossia un nazionalismo di estrema sinistra improntato sulla nazionalizzazione delle imprese di pubblica utilità e sul ridimensionamento della proprietà privata. No hay comida. Non abbiamo di che mangiare. Questo è il titolo principale di reporter indipendenti che descrivono fuori dai confini venezuelani la situazione drammatica del loro paese. La causa di questa assenza di derrate alimentari di base è conseguenza diretta delle follie socialiste implementate durante il mandato di Maduro, il quale ha imposto demagogicamente il “precio justo” per moltissimi beni di prima necessità con l’intento di difendere i più poveri dall’iper inflazione venezuelana (stimata ormai oltre il 700%, la più alta del mondo).
I prezzi di vendita imposti sono nella maggior parte dei casi addirittura più bassi dei costi di produzione cosi che non ha più senso continuare a produrre internamente e conviene aspettare i rifornimenti provenienti da importazioni estere che tuttavia il governo non è sempre in grado di sostenere in toto a causa della svalutazione della propria moneta. Gli espropri collettivi o meglio i saccheggi nei negozi e nei supermercati sono all’ordine del giorno, gli autotrasportatori solitamente sono scortati perchè vi è il rischio che siano assaliti da orde di folle affamate. Nelle calli dei pueblos più poveri cani e gatti randagi sono spariti, perchè se li sono mangiati. Gli aiuti di stato per soluzionare la stretta alimentare vengono gestiti dalle CLAP ossia i comitati locali di approvvigionamento e produzione per la distribuzione di dosi giornaliere di comida che consiste in buona sostanza in un pacco di pasta, uno di farina, un barattolo di pomodori e una bottiglia di olio (non di oliva) ! Per non parlare dell’acqua (poco) potabile che va e viene a singhiozzo: nello skyline di un tipico barrio venezuelano oltre alle parabole satellitari sul tetto di ogni abitazione si possono notare anche le tipiche botti di plastica azzurra per accantonare acqua da usare quando si verificano le interruzioni della rete idrica. Oltre all’acqua a singhiozzo, anche l’energia elettrica è caratterizzata dalla medesima sorte, va e viene in continuazione. Quasi i tre quarti della produzione elettrica nazionale deriva da fonti di produzione idroelettriche anzi da una sola, la centrale idroelettrica Simon Bolivar, che gestisce la diga di Guri (oltre settemila metri di coronamento, le quarta diga più grande del mondo) il cui livello di invaso ormai ha raggiunto il minimo storico.
In Venezuela si è sempre pensato di produrre energia elettrica dall’idroelettrico in modo da esportare tutta la produzione nazionale e massimizzare le entrate. A causa del cambio climatico la portata di acqua alle turbine elettriche è calata in misura considerevole in questi ultimi due anni cosi che Maduro ha pensato di far lavorare solo due giorni alla settimana tutti i dipendenti pubblici in modo da gestire il razionamento di energia elettrica per la nazione con maggior facilità. Ricordiamoci che stiamo parlando di un paese che galleggia su un lago di petrolio, se fosse amministrato con un modello economico diverso potrebbe comperarsi l’intera Florida. Le obbligazioni venezuelane per chi fosse in cerca dell’investimento speculativo in stile gratta e vinci possono in tal senso rispondere a questa aspettativa. I prezzi attuali sulle scadenze attese nei prossimi dieci anni mostrano quotazioni che oscillano tra i 40 e i 50 punti sul facciale, con picchi a 30 durante lo scorso anno. Inutile ricordare che il Venezuela è il primo paese in graduatoria mondiale per rischio default e molti analisti si attendono una fine ingloriosa simile a quella dei cugini argentini. Tuttavia le recenti decisioni assunte dall’OPEC sui tagli della produzione mondiale hanno consentito di stabilizzare il prezzo del greggio e questo potrebbe produrre un temporaneo miglioramento dell’outlook. Solo un cambio di governo e di modello economico appare tuttavia l’unica strada percorribile per ipotizzare una rinascita del paese. Per finire, maduradas è il nome ironico che hanno dato alle innovazioni e soluzioni ideate dal governo di Maduro per contrastare lo stato attuale di disagio socioeconomico prodotto dal chavismo bolivariano.