Consapevoli dell’agenda elettorale europea che ci attende durante tutto il corso dell’anno, molte case di gestione hanno sdoganato un acronimo per rappresentare finanziariamente i rischi e le opportunità che dovremmo affrontare prossimamente: vuca ossia volatility, uncertainty, complexity, ambiguity. Traducendo dall’inglese: volatilità, incertezza, complessità e ambiguità. Ci rendiamo conto di vivere in uno scenario vuca dalla dimensione dei depositi bancari a vista che hanno raggiunto soprattutto in Italia il loro massimo storico in termini di volumi (oltre un trilione di euro). Nonostante la messa a regime del bail-in, il pubblico retail ha timore dei mercati finanziari, è consapevole che sono in formazione nuove bolle finanziarie ed immobiliari, è consapevole di come le banche centrali in questi ultimi tre anni abbiano anestetizzato pericolosamente i mercati finanziari, soprattutto i mercati obbligazionari, è consapevole di come i media nazionali e mondiali da qualche trimestre stiano troppo enfatizzando con ridondanza lo stato di buona salute della crescita mondiale. Soprattutto si è consapevoli di come nel corso dell’anno si potrebbero verificare shock possibili, il cui livello di probabilità tuttavia è stimato essere molto contenuto. Il piccolo investitore ha sviluppato una sana avversione all’eccesso di ottimismo che sta dilagando in questi ultimi mesi soprattutto memore di quello che accadde proprio nove anni fa quando senza tanto preavviso si iniziò a parlare di crisi sistemica per il mondo bancario internazionale a fronte di un argomento allora sconosciuto (mutui subprime) che divenne il tema di apertura principale di tutti i telegiornali molto prima che arrivasse il bagno di sangue a marchio Lehman.
Per questo motivo si rimane alla finestra, aspettando che succeda qualcosa, quasi nella consapevolezza che lo scenario attuale sia farlocco tanto quanto una banconota di trenta euro. Un atteggiamento simile lo stanno implementando anche i gestori di fondi alternativi, la cui politica di investimento consente di costruire strategie di portafoglio market neutral. Tutta questa liquidità sta aspettando il trigger event ossia un episodio o un fatto di cronaca politica o finanziaria che faccia da apripista all’apertura delle condotte della diga. A quel punto un mare di liquidità inonderà il mercato o uscirà dal mercato con ovvie ed immediate conseguenze: amplificherà i profitti potenziali o peggiorerà le perdite potenziali in caso di flight to quality (fuga dagli assets rischiosi e posizionamento in quelli considerati più sicuri). Non si tratta più in tal senso di Nexit (Netherlands Exit), Frexit, Brexit o di una nuova Grexit 3.0, quanto piuttosto di fenomeni che non erano stati considerati ex ante in termini probabilistici dalle comunità finanziarie. In tal senso richiamando il titolo di questo post ovvero l’essenza vuca durante il corso dell’anno avrà più significato e buon senso la gestione dell’improbabilità piuttosto che la sua completa eliminazione. Si sprecano da settimane le valutazioni positive della Trumponomics, come se si desse per scontato la completa realizzazione di tutti i key points della sua proposta politica, tutto questo super ottimismo sta trasformando Trump in Super Trump, trasmettendo tuttavia anche una sensazione di euforia irrazionale, anticamera di tutte le crisi sistemiche del passato.
La Trumponomics promette il taglio delle tasse per la middle class, aumento significativo della spesa pubblica (soprattutto nel settore della difesa) e deregolamentazione del mercato per spingere ancor di più la libertà di nascita e crescita delle imprese. Queste misure che si presume verranno presto adottate sul piano pratico vengono messe sul tavolo di governo con una locomotiva americana che si trova ai massimi storici in termini di occupazione e in termini di dimensione del debito pubblico con un rapporto debito/pil negli States di poco superiore al 110%, quando nel 2008 era appena al 70%. Gli utili aziendali e le stime di crescita hanno anche loro raggiunto il massimo splendore: chi segue la reportistica delle case di gestione converrà come ora si parli di ulteriore possibile crescita di queste stime pur di evitare di lanciare allarmi ai private bankers ed ai loro clienti. Il taglio delle tasse tanto sbandierato potrebbe paradossalmente creare un effetto boomerang nel giro di pochi semestri, proprio per gli stessi mercati finanziari. Questo a causa delle ondate inflazionistiche che si svilupperebbero proprio con gli effetti del taglio delle tasse in un’economia che al momento appare molto sana e florida come appunto quella statunitense. Questo obbligherebbe la Federal Reserve ad avviare con largo anticipo una politica monetaria restrittiva implementando una dinamica veloce di risalita dei tassi di interesse per decongestionare il riscaldo economico provocato dalla defiscalizzaizone dei redditi di famiglie ed imprese. A sua volta questo rafforzerebbe notevolmente il dollaro americano contro tutte le valute mondiali e produrrebbe anche una probabile fuga di capitali dagli emerging markets i quali a loro volta impatterebbero sul livello di export proprio delle economie occidentali.
Il ciclo economico globale in questo modo subirebbe una battuta di arresto, paradossalmente dopo aver beneficiato di una piccola parentesi temporale di ulteriore spinta propulsiva grazie ai tax benefits della Trumponomics. I mercati azionari occidentali sono saliti in questi ultimi anni proprio grazie alle politiche monetarie espansive delle rispettive banche centrali, le varie Grexit e Brexit più di tanto hanno solo dato fastidio per qualche giorno al loro verificarsi, successivamente i mercati hanno riassorbito velocemente quanto perduto in poche sedute. A questo punto la domanda da porsi appare scontata. Che cosa accadrà con una politica monetaria restrittiva ? Finisce la sbornia dei rialzi pilotati ? Finisce l’ossigeno per le obbligazioni bancarie ed i titoli di stato ? Termina nel peggiore dei modi un ciclo epocale per il mondo degli investimenti obbligazionari ? Con un petrolio (finalmente) stabilizzato grazie ai nuovi accordi OPEC, con alcuni player emergenti in uscita da una recessione triennale (Brasile e Russia), con una Cina disposta a tutto per mantenere livelli di crescita superiori al 6% appare chiaro che prossimamente il vocabolo inflazione diventerà lo spauracchio di tutti. L’inflazione è destinata a ritornare a diventare un tema dominante nella gestione dei portafogli, soprattutto con un dollaro forte, conseguenza della Trumponomics. In tal senso parcheggi di liquidità, asset scadenti in portafoglio ed una esposizione poco market neutral produrranno perdite, prima in termini di potere d’acquisto e successivamente anche in conto capitale. Molto probabile che i questo momento i prezzi di molte asset class non stiano scontando questo scenario a causa di una nuova euforia irrazionale.