La maggioranza silenziosa. Questo termine è stato sdoganato politicamente per la prima volta da Richard Nixon nel 1969 durante un comizio elettorale in riferimento a quella parte consistente di elettorato statunitense che non manifesta pubblicamente le proprie opinioni. Lo ha rispolverato anche Donald Trump sin dalle sue prime uscite in campagna pre-elettorale e ripreso con vigore alcuni giorni prima dell’Election Day affermando a gran voce: the silent majority is back and we’re going to take our country back. La maggioranza silente della popolazione (soprattutto bianca caucasica) è tornata per riprendersi indietro il Paese. Diamo adesso il tempo necessario a quasi tutta la stampa internazionale di leccarsi le ferite per aver supportato sempre e comunque, spesso con modalità ridicole e ridondanti, l’appoggio incondizionato a Hillary Rodham e al suo fallimentare Partito Democratico. Chi esce perdente infatti da questa competizione non è solo la moglie di un ex-presidente USA che nel 2000 ha dato avvio alla più grande operazione di deregolamentazione finanziaria dei mercati finanziari con il supporto del Governatore della FED di allora Alan Greenspan. Deregolamentazione che tutto il mondo ha pagato otto anni dopo e di cui ancora oggi ne sconta le conseguenze. Ha perso tutta quella stampa internazionale di sinistra pseudo perbenista e radical chic che da dieci anni si erige a pontefice universale su cosa sia politicamente corretto e cosa non lo sia. Chi avesse seguito l’Election Day facendo zapping tra i canali statunitensi e quelli italiani avrà potuto rendersi conto della spocchiosità di tanti giornalisti italiani, da anni genoflessi in estasi mistica a contemplare Obama e tutto quello di cui si è fatto portavoce.
This is the end for pussy generation. Questa è la fine per tutta quella generazione di checche e frocetti che negli ultimi dieci anni ci hanno ammorbato e plagiato con il loro aberrante e patetico buonismo tipico della sinistra radical chic. Proprio Clint Eastwood ha coniato questa espressione la scorsa estate, che in America Latina è stata tradotta con il termine di generacion de maricas, in riferimento al main stream del Partito Democratico di Obama che aveva dato origine al razzismo al contrario: qualsiasi contestazione che dovesse fare un bianco caucasico al loro operato viene infatti considerata come una manifestazione o espressione di razzismo. Noi italiani ne sappiamo qualcosa grazie a quasi tutta quella disgustosa stampa nazionale, schierata massicciamente a supportare Obama & Clinton, che l’ha importata e imposta a tutta la nostra nazione come se fosse un mantra tantrico. Proprio questi “giornalisti” italiani durante le prime ore dello spoglio elettorale, quando il successo di Trump era ancora in discussione, se ne sono usciti con esternazioni del tipo: la vittoria di Trump sarebbe un pericolo per la democrazia oppure prepariamoci a vedere la fine del mondo. Marica, coma mierda. Così direbbero invece alcuni commentatori ispanici d’oltre oceano che per anni sono stati derisi, umiliati e soprattutto screditati proprio dai loro colleghi di sinistra (i quali si ritengo politically correct erga omnes), questo perchè si facevano portatori del malcontento dell’America bianca e caucasica, quella che per anni ha dovuto subirsi l’indottrinamento farisaico dei democretinici (come Abraham Simpson, il papà di Homer, definisce i democratici nella omonima serie televisiva).
La vittoria di Trump rappresenta un grido di liberazione dalla politica di Obama, un uomo che ha raggiunto modesti e risibili risultati economici, soprattutto a fronte di imponenti interventi sul fronte monetario mai visti prima nei decenni passati, pensiamo solo alla politica monetaria della FED con Bernanke prima e con la Yellen oggi. Oltre al fallimento di Obama ed al suo Obama Care (tanto odiato proprio dalla silent majority) hanno fallito anche tutte le grandi testate giornalistiche statunitensi ovviamente tutte pro-Hillary, e i pluriquotati sondaggisti con la laurea di Yale o Harvard, che ora si rendono conto che esiste anche l’altra America ossia quella degli wasp (white anglo saxon protestant), che desidera non un cambio di rotta, ma cambiare se possibile tutto l’establishment attuale dichiaratamente imperialista e globalista. Pensate solo che Hillary Rodham se avesse vinto avrebbe nominato Larry Finck come Segretario del Tesoro (fondatore e presidente di BlackRock, la più grande investment house del mondo, che in Italia detiene partecipazioni di maggioranza qualificata in quasi tutte le banche italiane quotate). In tal senso si legge la conquista della Florida, all’inizio data per sicura in mano ai democratici: i pensionati americani che ivi si sono trasferiti per passarci il resto della loro vita sono stanchi di vedere il proprio Paese aggredito impunemente da stranieri (tanto immigrati quanto multinazionali) che compromettono per questo tanto il benessere medio di vita quanto l’integrità stessa della nazione. Enough is enough for this fucking pussy generation. Ne abbiamo abbastanza di questi frocetti radical chic che pontificano dall’alto su cosa sia giusto e corretto per tutti. E che dire dei moniti che lanciavano gli stessi sul rischio di instabilità dei mercati finanziari in caso di vincita di Trump ? Vedremo una nuova Brexit con danni collaterali ovunque. Così sentenziavano fino a pochi giorni fa. Si, infatti si è visto: modeste aperture al ribasso, con chiusure in pieno recupero o addirittura in territorio più che positivo anche per i mercati europei.
Agli operatori di borsa non piacciono le incertezze ed in tal senso il programma elettorale di Trump rappresentava un punto interrogativo in quanto all’inizio molto folkloristico e ridondante di slogan. Tuttavia passate alcune ore dalla proclamazione ha iniziato a prevalere il buon senso ed un programma di governo che propone tagli alle tasse per la middle class, investimenti infrastrutturali per centinaia di miliardi, programmi di incentivazione per il rimpatrio dei capitali investiti all’estero, rinegoziazione dei rapporti di libero scambio e misure atte a proteggere e rilanciare le imprese statunitensi sono una manna per l’equity americana nel medio e lungo termine. La stessa FED dovrà ridimensionare le proprie aspettative nel senso che la stretta monetaria tanto sbandierata alcuni mesi fa sarà molto probabilmente smussata soprattutto a fronte dei possibili conflitti che ci saranno con la Yellen, decisamente non gradita all’entourage di Trump. In sintesi finale possiamo dire quindi che da circa diciotto mesi si stanno verificando nel mondo dei cambi epocali nella consistenza politica e nel mood elettorale di molte economie occidentali. Prima abbiamo avuto una silente Grecia a metà del 2015, dopo una scalpitante Spagna alla fine del 2015, a seguire un Regno Unito che sconvolge il mondo a metà del 2016, ieri gli USA che mettono un sigillo storico a questa nuova epoca in cui la globalizzazione e lo status quo dominante il pianeta sono messi decisamente in discussione. Attenzione perchè a breve sarà il turno dell’Italia (ricordiamo a tal proposito che con grande presunzione anche i sondaggi italiani saranno abbondantemente disattesi) e nel prossimo 2017 avremo tutte le condizioni per un cambio di rotta anche per la Vecchia Europa, prima con la Francia e dopo con la Germania. Chissà magari nel mezzo si intrufolerà a sorpresa proprio anche l’Italia che darà finalmente voce alla sua silent majority.