Il diciannovesimo secolo è stato vissuto sotto l’influenza ed egemonia inglese, il ventesimo secolo sotto quella statunitense, ed il ventunesimo (quello attualmente in corso) sarà vissuto sotto l’egida cinese. Dopo il 2100 si dovrà capire che pianeta consegneremo alle future generazioni e soprattutto se il cambiamento climatico non abbia prodotto significative perdite di potenziale economico come già oggi si inizia ad immaginare. Ne abbiamo già dato menzione all’interno di un altro editoriale: la Cina non pianifica il proprio percorso e futuro economico con una programmazione di breve respiro, elemento che invece contraddistingue tutte le economie occidentali avanzate. Sostanzialmente anche nel migliore dei casi un leader di governo occidentale riesce a guidare il proprio paese potendo implementare la propria agenda per non oltre otto anni. In Europa è già storia quello che è riuscita a fare Angela Merkel con i suoi quattro mandati. Tuttavia al di là di questo più unico che raro caso di governance politica protratta per quasi due decenni, nelle restanti casistiche la pianificazione di governo non arriva ai cinque anni. In Italia conosciamo molto bene il quadro clinico. Ora la Cina rappresenta una nazione unica al mondo come forma di governo ossia una dittatura comunista con ingerenza di capitalismo privato di matrice internazionale: oltre a questo infatti si deve aggiungere anche la diversa concezione della società che hanno molti paesi asiatici in cui i diritti dell’individuo sono considerati secondari rispetto al benessere della comunità intera.
In Cina il futuro socioeconomico della terra di mezzo è pianificato e programmato con un’orizzonte temporale che può arrivare anche a 25 anni. Questo modus operandi è frutto del maoismo che a sua volta lo assorbì dall’Unione Sovietica di Stalin. La pianificazione ossia la definizione degli obiettivi strategici di una nazione veniva conseguita mediante i noti piani quinquennali, questi ultimi da intendersi come autentici strumenti di politica economica in paesi in cui il capitalismo di stato mediante la gestione di grandi enti pubblici si sostituisce all’iniziativa economica privata. Da qui si comprende il senso dell’economia pianificata in contrapposizione a quella di mercato. In Cina in questo momento è in vigore il tredicesmo piano quinquennale, spassosamente denominato shin san wu, da noi occidentali di cui abbiamo già parlato abbondantemente. I primi due punti di politica economica di questo tredicesimo piano sono rispettivamente il cambio radicale di politica demografica (fine del vincolo al figlio unico) e l’accrescimento dei consumi interni. Il primo punto è necessario per far tornare a crescere la popolazione cinese in termini demografici in modo da permettere la sostenibilità finanziaria del Paese nei decenni a venire; il secondo punto invece ha lo scopo di dare spinta e propulsione al nuovo modello di sviluppo economico voluto dall’attuale Presidente, Xi Jinping, per rendere la Cina meno indipendente dalle esportazioni estere. La view di Pechino è ben delineata in tal senso ossia ritornare ad essere la prima potenza economica nel mondo, proprio come lo sono stati in passato sino alla fine del diciottesimo secolo.
La Cina oggi vanta già il primato di prima potenza marittima ed entro pochi decenni diventerà anche la prima per intelligence militare surclassando il Pentagono, mentre il primato di prima potenza economica mondiale dovrebbe poter essere raggiunto tra il 2023 ed il 2025, almeno secondo quanto recentemente stimato da PWHC. Ovviamente questa proiezione vale fin tanto che l’attuale governance cinese continuerà a prosperare ed a dettare l’agenda politica di Pechino. La Cina da quando è entrata nel WTO, sotto la guida di Hu Jintao, ha pianificato la sua crescita economica proprio come un campione del mondo di scacchi: muovendo lentamente i pedoni con una meticolosa strategia di assedio e lenta penetrazione nei territori altrui, lasciando che tali nazioni nel frattempo si scannassero internamente da sole su patetiche tematiche sociali completamente aberranti. Con l’intento di enfatizzare il ruolo della Cina a sostegno e difesa della globalizzazione mondiale, consentendo alla stessa di potenziare e controllare gli sbocchi commerciali delle produzioni cinesi, è stata concepita la Nuova Via della Seta, più conosciuta dai media mondiali con il termine di One Belt, One Road. Stiamo parlando in pratica di due nuove vie di collegamento (una via terra e una via mare) che permetteranno di far transitare materie prime, prodotti e persone all’interno di due corridoi predefiniti. Quello via terra, ispirato all’antica Via della Seta di Marco Polo, ha lo scopo di rendere idealmente uniti rispettivamente Cina, Unione Europea, Russia e Medio Oriente. Il corridoio parte infatti da Pechino ed arriva sino a Madrid, transitando per tutto il continente euroasiatico (entrando in Kazakistan, Iran, Iraq e Turchia).
Il corridoio marittimo invece parte da Quanzhou (provincia di Fujian) ed arriva in Italia a Venezia e Trieste. Proprio Marco Polo narrava di questa città cinese come del più grande porto del mondo durante il suo periodo di esplorazione del Kathai. La rotta marittima costeggia numerose nazioni, rispettivamente: Thailandia, Indonesia, Bangladesh, India, Iraq (con Basrah), Somalia, Gibuti, Egitto ed infine Italia. Questo corridoio unirà idealmente sei aree marittime del pianeta: il Mar della Cina, l’Oceano Pacifico, l’Oceano Indiano, il Mar Rosso, il Mar Arabico ed il Mar Mediterraneo. Dal punto di vista finanziario l’investimento in termine di interconnessione tra gli stati è supportato dalla Banca Asiatica per gli Investimenti e le Infrastrutture di cui la Cina è l’azionista di maggioranza di riferimento assieme a Russia e India. Questo fondo di supporto alla crescita economica è stato concepito per contrastare la view del FMI che secondo Pechino ha il solo scopo di proteggere il Washington Consensus. Risulta difficile in effetti non trovarsi d’accordo: guardando dall’alto è possibile intravedere come il baricentro economico del mondo si sta spostando verso oriente. Mentre prima si trovava a metà strada tra New York e Londra ora si posizione a tre quarti tra Venezia e Pechino. Il rischio per gli Stati Uniti, soprattutto ora che appaino politicamente allo sbando con l’Amministrazione Trump, è rappresentato da un sempre più probabile isolamento economico nel momento in cui tali infrastrutture dovessero andare a compimento. Proprio così è possibile comprendere l’importanza per lo Zio Tom di avere e mantenere alcune delle aree geografiche che sono state sopra menzionate in continuo stato di instabilità politica. Molto presto ritorneremo indietro alla storica rivalità Occidente contro Oriente conosciuta durante la Guerra Fredda tra USA e URSS. Questa volta tuttavia l’Unione Europea sembra scendere in campo con un ruolo di gioco decisamente diverso e nonostante la salute asfittica pare che anche l’Italia per la sua posizione logistica in questa infrastruttura giocherà un ruolo più che marginale.