Alla fine della scorsa settimana l’agenzia di rating, Standard & Poor’s, ha allertato le comunità finanziarie internazionali sul pericolo di uno shock finanziario di portata mondiale qualora in caso di vittoria di Marine Le Pen alle prossime presidenziali la Francia sotto il nuovo governo del Front National avvierà i preparativi per il referendum sulla Frexit e successivamente, in caso di ulteriore vittoria alla consultazione popolare, procederà alla ridenominazione del proprio debito pubblico riesumando il franco francese. Standard & Poor’s ha utilizzato queste parole: il peggior default di tutti i tempi. Ora facciamo un riassunto delle telenovela che va in onda da qualche anno sulle borse mondiali: prima ci doveva essere la Grexit poi la Brexit, poi l’elezione presidenziale negli States, seguita dal referendum costituzionale italiano. Ogni volta ci hanno sempre detto che in caso di vincita della fazione ostile all’establishment sovranazionale sui mercati finanziari si sarebbe scatenato l’inferno. A titolo di cronaca una posizione lunga sugli indici azionari dei suddetti paesi avrebbe prodotto sul vostro portafoglio un significativo contributo alla crescita delle vostre disponibilità finanziarie complessive. Mi verrebbe da dire a questo punto che avrebbe non buon senso ma semplicemente logica cognitiva prendere posizione al rialzo sull’indice azionario francese qualche giorno prima del primo turno delle presidenziali francesi (il prossimo 23 Aprile) in quanto stando alle performance passate di altre nazioni europee dovremmo aspettarci un comportamento similare anche per la borsa francese in caso di insediamento all’Eliseo di Marine Le Pen.
L’integrità dell’eurozona e la vita stessa della moneta unica saranno i temi dominanti per tutto il 2017. Al di là dei moniti che lanciano propriamente alcuni attori dei mercati finanziari appaiono molto più rilevanti e credibili le attestazioni di rischio che sono apparse sul prospetto di aumento di capitale di Unicredit Banca in cui per la prima volta si fa menzione dei rischi impliciti per un investitore nel caso in cui un determinato asset sia colpito da una ridenominazione valutaria. Questo significa che se avete ad esempio una obbligazione di qualsiasi soggetto emessa in euro poteste subire perdite di significativa entità qualora tale strumento finanziario dovesse essere prezzato o quotato in altra divisa estera o peggio in una divisa di nuovo conio. Più passa il tempo più questa percezione di rischio inizia ad essere percepita in maniera trasversale. Le motivazioni di queste preoccupazione e disagio è più che razionale in quanto il calendario intenso di appuntamenti di valenza politica per l’Europa quest’anno sono cospicui. Aggiungiamo all’elenco ufficiale anche la riemersione dalla ceneri sepolte ancora il caso ellenico che si pensava soluzionato, quando in realtà sapevamo che era stato solo spostato in avanti. Questa estate la Grecia rischia di ripresentarsi potenzialmente insolvente per l’ennesima incapacità di rimborsare un prestito sovranazionale di 7 miliardi. Il FMI si è recentemente espresso sulla effettiva insostenibilità del debito greco nel breve e medio termine, questo significa il potersi attendere un ulteriore appuntamento estivo capace di aggiungere ulteriore rischio e danno a quanto sappiamo ci aspetta.
I mercati finanziari in tal senso sembrano caratterizzati da una volatilità dormiente, della serie sappiamo che succederà qualcosa nel corso dell’anno di portata sistemica ma per adesso quello che possiamo fare è solo aspettare nella consapevolezza che i drivers di propulsione o contrazione delle quotazioni di borsa hanno connotazioni in buona sostanza solo politiche. Questo significa che dal punto di vista pratico le esternazioni dei banchieri centrali (almeno in Europa), la politica monetaria adottata, l’andamento degli ordinativi industriali o il livello di disoccupazione giovanile non producono più di tanto contributi alla dinamica delle quotazioni che invece rimangono in costante stand-by aspettando la prima pedina a cadere sullo scenario politico europeo (attenzione che tra qualche mese si affiancherà anche la Finlandia che vorrà uscire dall’euro). Negli States è ancora peggio: il listino americano pare stia vivendo una fase di entusiasmo irrazionale come se tutto quanto avesse promesso Trump durante la campagna elettorale verrà rispettato ed implementato alla lettera senza rivisitazioni o concessioni alla opposizione democratica. Wall Street è ormai considerata esageratamente cara da quasi tutte le case di gestione, anche se continuano a dirvi che gli utili delle aziende statunitensi possono ancora crescere in forza degli stimoli fiscali promessi dallo stesso Trump. In contrapposizione invece abbiamo mercati azionari come quello italiano e giapponese che viaggiano a sconto tra il 40% e 50%. Cercare ricovero per le proprie disponibilità in questa fase di mercato significa accettare di vivere in simbiosi con la volatilità.
Personalmente sto dando sovrappeso all’interno del portafoglio ai paesi emergenti, tanto all’equity quanto al debito, soprattutto in valuta locale. In campo calcistico si dice spesso che la miglior difesa sia l’attacco: in questo momento, con mia presunzione, l’adozione di un approccio moderatamente aggressivo sul mercato in riferimento ad alcune asset class potrebbe produrre il risultato appunto ricercato. Nello specifico si dovrebbero preferire classi di attivo il meno esposte alle dinamiche tanto europee quanto statunitensi in modo da non incassare l’impatto degli esiti politici in Europa e delle eventuali restrizioni commerciali da parte degli USA. A livello pratico pertanto sarebbe consigliabile preferire fondi o strumenti similari che permettano una esposizione unconstrained ad alcuni mercati emergenti, ad alcuni titoli difensivi (soprattutto le utilities per la loro capacità di scaricare con facilità le attese di inflazione sulla loro clientela) ed infine su strumenti generatori di income periodico da reinvestire sistematicamente nei mercati ad ogni momento di flessione delle quotazioni. Sull’euro e sul suo destino è stato scritto ormai sino alla nausea: quest’anno vi è la oggettiva probabilità che l’euro non vedrà il sorgere del 2018. Quanto abbiamo vissuto dal 2012 in poi ricorda vagamente la conflittualità all’interno di un matrimonio travagliato tra due partners in cui uno dei due con periodicità costante si lascia andare a comportamenti che deludono o deprimono l’altro, il quale sin dall’inizio pare invece sempre disposto a perdonare. Almeno sino a quando non si verifica quell’effetto shock fuori dal comune che produce il break-up nella coppia a cui non si può più rimediare. Quest’anno dovrebbe accadere qualcosa di questo genere. Stay tuned.