Se vivete in Spagna o avete conoscenti e clienti che hanno una qualche relazione con la penisola iberica vi capiterà sicuramente durante una conversazione a sfondo politico di parlare dei gitani. Questi ultimi rappresentano sostanzialmente l’alter ego dei Rom italiani in Spagna. Il loro nome deriva da una transiltterazione della parola latina aegyptanus ossia egiziano, in quanto anticamente si pensava che questa popolazione fosse originaria dell’Egitto. I gitani, assieme ai rom ed ai sinti rappresentano i principali gruppi etnici principali che compongono la popolazione romanì (con l’accento sull’ultima vocale). Sulla loro origine e provenienza vi sono ancora numerose perplessità storiografe, tuttavia l’ipotesi più accreditata ritiene che fossero in principio una popolazione di origine indoeuropea stanziale in un’area geografica tra l’India ed il Pakistan che abbandonarono durante il XI secolo iniziando una migrazione verso il la regione caucasica, soprattutto insediandosi in Armenia, Turchia e Libano. Nei secoli successivi si spostarono ulteriormente ancora più ad occidente arrivando in Europa tra il XIV e XV secolo. Sin dal loro ingresso nel Vecchio Continente sono sempre stati perseguitati per le connotazioni negative caratteristiche della loro cultura, andando dalle espulsioni di massa alla schiavizzazione sino al genocidio avvenuto durante il periodo nazista in Germania, denominato Porrajimos ossia Grande Devastazione.
Stranamente questo genocidio non riceve tanta attenzione mediatica quanto quella che contraddistingue la Shoa. I vergognosi esperimenti intrapresi dal Dott. Josef Mengele utilizzavano in larga misura proprio bambini di etnia romanì in quanto, secondo il regime nazista, gli zingari erano considerati come la razza pura degenerata e per questo oggetto di specifici esperimenti genetici. Senza richiamare alla memoria i vituperati tedeschi durante gli anni del nazismo, forse sarebbe altrettanto istruttivo ricordare il caso della tanto elogiata Svizzera, la quale nel 1970 avviò il programma di eugenetica denominato Kinder der Landstrasse (tradotto in italiano significa i figli della strada). Circa 600 bambini vennero sottratti ai loro genitori di etnia jenish (sostanzialmente zingari nomadi dalla carnagione bianca stanziali nell’Europa del Nord) ed affidati a normali cittadini svizzeri nel tentativo di eliminare la cultura jenish dalla Svizzera. Secondo alcune ricostruzioni storiografiche i jenish sono considerati discendenti di commercianti ebrei nomadi. Nel dialetto veneto il termine di zingari viene tradotto in singani, a sua volta proveniente dall’ungherese “cigany” per identificare le popolazioni romanì che si stanziarono in Europa durante il XV secolo: già allora il termine assumeva una connotazione negativa, se non addirittura dispregiativa.
Stando ai censimenti europei, si ipotizza che vivano in Europa circa 12 milioni di appartenenti alla popolazione romanì. Tralasciando la Romania, che ovviamente è molto vicina geograficamente alle prime aree di insediamento storico dei romanì nel Vecchio Continente, scopriamo che la Spagna è la seconda nazione europea a detenere la comunità di romanì più popolosa con oltre 800.000 individui, che sono genericamente chiamati gitani (anche se appartengono a tre diversi ceppi etnici distinti ossia sinti, rom e kalè). Si possono spesso riconoscere solo dal loro appellido ossia il cognome: quelli più noti e diffusi sono generalmente Jimenez, Fernandez, Rodriguez, Cortes, Munoz e Montoya. Proprio come in Italia anche i gitani esercitano generalmente l’attività di giostraio, l’attività circense, l’attività di raccolta dei metalli e l’attività di accattonaggio. Rispetto ai rom italiani, i gitani sono anche operanti nella compravendita di animali da allevamento (tratante de ganado). In Spagna circa il 2% della popolazione nazionale è gitana, in alcune regioni esistono piccole cittadine (pueblos) in cui la loro presenza arriva anche al 40% di tutti gli abitanti. In Italia abbiamo una popolazione complessiva che oscilla tra i 150.000 ed i 200.000 individui, pertanto appena lo 0.25% della popolazione nazionale. Lo spirito di conflittualità che abbiamo in Italia nei confronti dei rom (spesso più che giustificata sul piano morale) non è poi tanto diverso da quello che hanno i cugini iberici nei confronti dei gitani.
Ogni italiano con il trascorrere della sua vita si è fatto una propria opinione sui rom tanto quanto se la sono fatti gli spagnoli con i gitani. Purtroppo il clima di patetico perbenismo che regna ormai trasversalmente in Europa impedisce di poter esternare il proprio pensiero su queste persone e sulla loro cultura. Recentemente in alcune trasmissioni televisive e radiofoniche si sono raccolte le opinioni di cittadini italiani in merito ai rom. Numerosi intervistati hanno gridato a gran voce la sterilizzazione per le donne rom o il loro confinamento in un’isola italiana come soluzioni originali ed innovative, stante la reticenza dei rom a volersi integrare con la società civile italiana e la difesa oltre ogni ragionevole buon senso da parte di organizzazioni non governative (ricordiamo i fatti di Torre Maura a Roma). Apriti cielo: questi nostri connazionali sono stati coperti di insulti ed ingiurie da tutta l’establishment radical chic italiana per le loro proposte barbariche. Tuttavia per farsi un’idea su questo tema è istruttivo sapere che le donne rom venivano forzatamente sterilizzate in numerose nazioni europee come Cecoslovacchia, Ungheria, Romania, Bulgaria ed anche parte della Jugoslavia appena dopo la caduta del muro di Berlino sino ai primi anni del nuovo millennio. In merito al confinamento su un’isola, può far aprire gli occhi che il governo danese abbia recentemente autorizzato la creazione entro il 2021 di un centro di isolamento per migranti ed ospiti indesiderati all’interno dell’isola di Lindholm. In Europa la Danimarca è passata in meno di dieci anni da essere la nazione più accogliente a quella più intollerante nei confronti di chi non è danese. Stranamente di queste notizie in Italia non si ha riverbero mediatico.