Il 2016 ci ha portato numerose novità e sorprese, ci ha fatto soffrire e patire con la sua volatilità, i suoi eccessi e le sue contraddizioni: sto parlando ovviamente in termini prettamente finanziari, nel suo complesso io e le persone che seguono i miei portfolio models abbiamo conseguito una performance più che soddisfacente in considerazione della tensione e dinamica finanziaria vissuta. Ricordo che alla fine del 2015 allertavo i partecipanti di uno dei miei periodici seminari che se a consuntivo sulla lettura delle performance del 2016 avessimo ottenuto un contributo moderatamente positivo allora avremmo potuto brindare alzando i calici in forza della convergenza di criticità finanziarie che avrebbero connotato quell’anno. Nel 2016 ci hanno aiutato moltissimo le banche centrali, erigendosi a protettori della stabilità finanziaria mondiale. Ci hanno abituato che ad ogni momento di possibile tensione e rischio finanziario loro sono pronti a scendere in campo per smorzare ogni timore sul nascere: vi ricordate la famosa cabina di regia predisposta in vista della Brexit ? Il fatto di sapere che in qualche modo qualsiasi mood negativo degli operatori di mercato troverà ristoro nelle parole rassicuranti di Mario Draghi o Janet Yellen non è propriamente costruttivo e nemmeno edificante per la resilienza dei vostri portafoglio, almeno per chi in questi ultimi tre anni sta provando a mettere a reddito il proprio patrimonio.
Questo termine ha iniziato a diventare inflazionato, dialetticamente parlando, in questi ultimi trimestri, soprattutto da parte dei chief investment officer delle grandi case di gestione che per il 2017 lo indicano come l’aspetto dominante che ogni portafoglio deve avere. La resilienza di un portafoglio in tal senso rappresenta la capacità di una composizione variegata di attivi (asset class) di resistere a determinati scossoni imprevisti sui mercati finanziari ed al tempo stesso di essere capaci di recuperare velocemente una perdita potenziale in conto capitale in tempi ragionevoli. Esempio pratico: avete investito Euro 100.000 in un fondo alternativo (almeno così dice di essere stando alla politica di gestione) il quale a fronte di uno shock improvviso sui mercati finanziari internazionali perde in pochi giorni cinque punti percentuali mentre il mercato di riferimento lascia sul terreno oltre dieci punti. Si potrà considerare il tal fondo resiliente solo se questa perdita potenziale di cinque punti sarà recuperata auspicabilmente nel giro di poche settimane. Se invece quel cinque per cento necessita di semestri o addirittura anni, in tal caso non siamo innanzi ad una gestione o ad un fondo con caratteristiche di resilienza. Non vi allarmate, perchè fondi effettivamente resilienti ve ne sono veramente molto pochi al mondo. Questo perchè stiamo vivendo un’epoca anomala, storicamente parlando in campo finanziario, e gli stessi portfolio managers si trovano a implementate o ideare strategie di gestione che in passato non sono state mai sperimentate o attuate (pensiamo a riguardo a quanto prezzano i titoli di stato delle nazioni occidentali).
Lo voglio ripetere sino allo sfinimento, il 2017 sarà un anno molto difficile, forse troppo: convergono durante questi dodici mesi troppi eventi con portata e conseguenza macroeconomiche epocali, destinate a cambiare probabilmente per sempre le nostre vite. In termini ciclici, dobbiamo iniziare a porci la domanda fatidica che si fanno molti fund managers dallo scorso anno: quando arriverà il prossimo bear market ? Per chi mastica poco di borsa, significa l’intonazione ribassista del mercato. Sia quello azionario che quello obbligazionario. Questo è il punto dolente del 2017. In passato questi due mercati un tempo erano decorrelati ossia quando uno scendeva, l’altro generalmente saliva e viceversa il contrario. Da qualche hanno sono diventati purtroppo correlati. Questo è stato reso possibile proprio grazie ai famosi programmi di QE, ormai prossimi alla fine praticamente ovunque, che hanno modificato per sempre la genetica dei mercati finanziari. A tutto questo si deve affiancare il ciclone Trump destinato a cambiare le regole del commercio internazionale che hanno determinato la crescita mondiale degli ultimi dieci anni. La crescita economica globale è già in contrazione strutturale da circa cinque anni, il protrarsi del declino della produttività nelle economie avanzate ed il ricorso a politiche di stabilizzazione non convenzionali in alcuni players planetari (Russia, Brasile e Giappone) fanno intendere che durante i prossimi mesi possiamo aspettarci saggiamente una inversione di tendenza.
L’outlook finanziario delle case di gestione in questo momento risulta ben delineato: i mercati azionari statunitensi stanno già scontando tutti i migliori scenari possibili della Trumpeconomics pertanto appare difficile aspettarsi una ulteriore spinta propulsiva di considerevole entità per quanto possano migliorare le aspettative di crescita degli utili societari in forza di una politica fiscale espansiva. Parimenti si conviene che stimoli fiscali e manovre di spesa pubblica espansive produrranno nel breve un primo impulso alla crescita, che tuttavia potrà subire paradossalmente una battuta d’arresto nel medio termine in conseguenza di un probabile rialzo dei tassi aggressivo da parte delle autorità monetarie americane con ricadute negative per quasi tutte le asset class (aumenterebbero in questo caso gli oneri finanziari sulle imprese e il mercato obbligazionario si troverebbe impreparato ad una risalita vigorosa dei tassi di interesse). Inutile pensare a questo punto a porti sicuri o a qualche limbo finanziario tradizionale in quanto già oggi non permettono più di conseguire the peace of mind. Più opportuno invece dovrebbe essere strutturare il proprio portafoglio puntando su uno stile di gestione in stile value piuttosto che growth, accettando anche di inserire qualche satellite con una esposizione direzionale a mercati che al momento stanno dando dimostrazione di una possibile ripresa come appunto Brasile, Russia e Giappone. A mio avviso risulta inopportuna anche la tanto sospirata liquidità a causa di spinte inflazionistiche che si stanno già manifestando nelle economie avanzate e rischiano di aumentare la loro intensità verso la fine dell’anno.