Come ogni anno in prossimità del Natale stiliamo il consueto outlook sui mercati finanziari nella consapevolezza che il 2016 non chiude tutte le porte con dentro i pericoli che abbiamo visto manifestarsi. Iniziamo pertanto con lo scenario tassi di interesse che sembrava produrre molta inquietudine lo scorso anno in questo periodo, il quale tuttavia ha cessato di essere potenzialmente un elemento destabilizzante per la volatilità dei mercati finanziari. Sia FED che BCE si stanno dimostrando molto assertive e prudenti, trovandosi ognuna a gestire un quadro macroeconomico completamente inatteso, la nuova guida conservatrice di Trump per gli States e lo scenario di fragilità politica in Europa a seguito della Brexit. Proprio quest’ultimo evento ha dato vita durante il corso dell’anno ad un cambio di variabili endogene inaspettate in grado di destabilizzare definitivamente sia la moneta unica che la capacità di reggersi nei prossimi mesi di tutta l’Unione Europea. Gli appuntamenti che ci attendono con il nuovo anno produrranno per certo sia volatilità ma al tempo stesso anche numerose nuove opportunità di investimento. Oltre alle elezioni di Francia, Germania e probabilmente anche Italia, il Regno Unito tornerà ad essere nuovamente protagonista visto che entro il 30 Marzo 2017 dovranno essere presentate le modalità attuative della Brexit. Ad oggi infatti niente è stato ancora implementato, quasi a voler spostare in avanti continuamente la data fatidica in cui si dovrà pigiare il bottone rosso.
In tal senso non l’esito della consultazione popolare, quanto piuttosto le sue conseguenze pratiche potranno produrre molti più danni e rischi di quelli che abbiamo potuto assistere durante il mese di Giugno. Per questo motivo l’Europa rappresenta la grande incognita per il 2017, una macroarea geografica che dimostra tanto una genetica quanto una ossatura fisica ormai inconsistente e vulnerabile. Rispetto ad otto anni fa, quando assistemmo tutti inermi al default di Lehman Brothers, oggi sono sostanzialmente assenti i safe harbour ossia i porti sicuri per il piccolo risparmiatore ed investitore. La messa a regime e le prime applicazioni pratiche della BRRD (bail-in) hanno prodotto più danni collaterali di quelli che invece si sarebbero avuti da un salvataggio pubblico. Non è casuale che per il derelitto ed acciaccato panorama bancario italiano si stia pensando da tempo ad una sua eventuale non applicazione (messa provvisoria in stand-by), ricorrendo in tal senso a qualche forma di aiuto pubblico mascherato. La BCE da questo punto di vista si è diplomaticamente posta in disparte, al pari di uno spettatore, dichiarando che il programma di espansione monetaria continuerà sino alla fine del 2017, garantendo in questo modo la stabilità economica durante i prolissi periodi di dibattito politico che ci attendono uno subito dopo l’altro. In sostanza si aspetta la fine del 2017 per chiudere il QE e rendersi a quel punto conto di che Europa avremo ereditato dopo tre tornate elettorali destinata a cambiarne il biglietto da visita.
Proprio la debolezza o la ritrovata (improbabile) forza potrà essere considerata il principale driver direzionale del rapporto di cambio euro/dollaro ormai prossimo alla parità. La nuova leadership statunitense a guida Trump sta già infatti producendo i suoi primi effetti: una politica fiscale espansiva unita ad una parallela politica monetaria restrittiva per opera della FED si traducono in fattori di apprezzamento valutario. Questo significa che al momento la possibilità che il dollaro continui a rafforzarsi rimane l’ipotesi più plausibile. Tuttavia ad un neoeletto presidente che ha dichiarato guerra alle delocalizzazioni selvagge, l’introduzione dei dazi all’importazione e che auspica un’America più grande, una moneta troppo forte non conviene ed anzi potrebbe compromettere il raggiungimento di determinati obiettivi della sua propaganda politica. Attendiamoci in tal senso possibili interventi non convenzionali durante il corso dell’anno da parte degli States. Al di fuori dei mercati occidentali classici, volgiamo lo sguardo anche sulla parte del mondo che viene genericamente etichettata come emerging markets. La stabilizzazione del prezzo del petrolio per opera dell’OPEC ha consentito di riossigenare l’economia di numerose economie emergenti molto legate tanto all’export quanto all’import del greggio, pensiamo ad esempio in ottica speculare il caso del Brasile e dell’India. Con grande presunzione il prezzo dell’oro nero si attesterà tra i 45 ed i 55 dollari per i prossimi tre anni, creando pertanto le migliori opportunità per la stabilizzazione di determinati settori economici (pensiamo a tutta l’industria dello shale oil negli States).
La seconda locomotiva del pianeta (Cina) continua la sua fase di rallentamento economico programmatico, provando a rialzare la testa dopo le tensioni finanziarie che hanno caratterizzato tutto il 2015. Oggi la Cina ha mutato significativamente la genetica del proprio apporto al mercato, tanto che si è trasformata in esportatore netto di inflazione, a discapito degli altri paesi che se ne accorgeranno purtroppo con largo ritardo. La fase di reflazione che infatti ci sta contraddistinguendo ci fa dimenticare il rischio ancestrale di fiammate inflazionistiche, successive a imponenti interventi di espansione monetaria che abbiamo avuto in questi ultimi anni. Reflazione è un termine che di rado si sente in televisione: sostanzialmente rappresenta nel linguaggio economico, la moderata nuova inflazione successiva alla deflazione innescata dalla iniezione di una maggior quantità di moneta, e che si accompagna solitamente a una ripresa economica. Siamo stati per due anni a chiederci sul perchè la crescita economica a fronte degli stimoli monetari adottati fosse debole ed asfittica: non stupitevi in tal senso se più avanti dovremmo soluzionare in termini di asset management un ritorno ad una inflazione poderosa, soprattutto per l’apporto cinese. Infine nonostante la maggior parte degli operatori sono ipnotizzati dalla paura delle prossime tornate elettorali in Europa, vi invito a perseguire e mantenere un approccio prudente e riflessivo sui mercati per tutto il nuovo anno, nella consapevolezza che l’inizio di un nuovo bear market tanto azionario quanto obbligazionario è sempre più prossimo, soprattutto dopo più di sette anni di continua ed imperturbata ascesa.