Per valutare l’operato di un partito politico o le sue proposte di politica economica è necessario avere una ampia ad articolata conoscenza delle finanze pubbliche e della dinamiche della spesa pubblica. In assenza di questa rappresentazione contabile risulta difficile se non arduo poter giudicare una riforma o una manovra finanziaria nello specifico. Lo stesso si potrebbe dire per la comprensione dello scenario macroeconomico attuale e per i rischi sistemici che caratterizzano la nazione italiana. Per conoscere queste poste di bilancio e la loro evoluzione nel tempo passato e futuro sono redatte tre pubblicazioni periodiche di valenza istituzionale a cui ogni governo affida e regge il suo operato. Partiamo subito con questo primo avviso, comprendere ed analizzare il contenuto di questa mole di documentazione non è purtroppo alla portata di tutti in virtù di una complessa articolazione di temi ed argomenti chiave della finanza pubblica di ogni paese. Senza girarvi attorno possiamo dire che anche una laurea in economia a vecchio ordinamento può essere considerata non sufficiente per la comprensione di quanto è possibile desumere dalla lettura e successiva analisi di queste pubblicazioni istituzionali. Quali sono pertanto queste pubblicazioni di rilevanza istituzionale da cui si deve iniziare l’analisi della finanza pubblica italiana ? I tre pilastri della finanza pubblica sono rispettivamente il Documento di Economica e Finanza (DEF), il Rendiconto Economico dello Stato redatto dalla Ragioneria Generale ed infine la Legge di Stabilità.
Questi documenti sono disponibili nel sito del MEF (Ministero dell’Economia e delle Finanze) e sono di pubblica consultazione. Proprio qui possiamo fare una prima osservazione, il fatto che siano di pubblica consultazione, non significa che siano anche di pubblica comprensione. Proverò pertanto a descriverli in forma semplificata, focalizzando l’attenzione sulle parti essenziali di tale documentazione contabile. Il più importante e significativo è il primo ossia il DEF. Chi avesse studiato economia con una laurea a vecchio ordinamento forse si ricorderà che originariamente era denominato DPEF ovvero documento di programmazione economica finanziaria: il DEF delinea le manovre di finanza pubblica e gli scopi che il Bilancio dello Stato deve perseguire in un periodo di tempo prestabilito (biennio, triennio o quinquennio). Permette pertanto al Parlamento di conoscere con anticipo le linee di politica economica e finanziaria che intende attuare il governo reggente. Il DEF è generalmente composto da tre sezioni: il programma di stabilità, l’analisi e le tendenze della finanza pubblica ed il programma nazionale di riforma. Stando al DEF attuale siglato dal Ministro Giovanni Tria, l’obiettivo fondamentale del programma di governo è il ritorno a una fase di sviluppo economico contraddistinta da un miglioramento dell’inclusione sociale e della qualità della vita, tale da garantire la riduzione della povertà e la garanzia dell’accesso alla formazione e al lavoro, agendo al contempo anche nell’ottica di invertire il trend demografico negativo.
In buona sostanza quindi il DEF traccia le linee guida della politica di bilancio e di riforma per il prossimo triennio, nel pieno rispetto dei vincoli europei. La previsione di crescita tendenziale è stata ridotta allo 0,1% per l’anno in corso, in un contesto di debolezza economica internazionale. Passiamo ora al secondo documento di rilevanza istituzionale ossia il Rendiconto Economico dello Stato per il 2019 (composto di oltre 600 pagine in formato A4 in cui si abbonda di tabelle e riclassificazioni di bilancio), il quale, mediante un sistema di contabilità analitica per centri di costo, espone la sintesi dei costi che le Amministrazioni Centrali dello Stato hanno sostenuto nel corso del 2018. Questo report consente di valutare l’impatto ed i costi delle attività prodotte dalle amministrazioni pubbliche attraverso tre diverse rappresentazioni prospettiche: il centro di costo, la voce di conto ed infine l’appartenenza ad una missione o programma specifico. Le missioni consentono di comprendere gli obiettivi della spesa e consentono una lettura immediata delle politiche pubbliche implementate: sono ormai dieci anni che la struttura del bilancio dello stato è suddivisa in 34 missioni, che sono condivise con 17 amministrazioni (negli ultimi anni lo erano invece con 21 amministrazioni). I programmi invece costituiscono aggregati omogenei di attività all’interno di ogni singolo ministero diretti al perseguimento di risultati, definiti in termini di prodotti e servizi finali.
I programmi nel 2018 sono 176, negli anni precedenti il loro numero era comunque sempre stato compreso tra i 170 ed i 180. Mi rendo conto che il tutto può essere difficile da assimilare, provo pertanto a semplificare questa analisi con un esempio pratico: la Missione 11 denominata Competitività e Sviluppo delle Imprese comprende al proprio interno numerosi programmi, uno di questi, il Programma 10 (identificato dal titolo, Lotta alla Contraffazione e Tutela della Proprietà Industriale) è riconducibile come centro di costo amministrativo al Ministero dello Sviluppo Economico. Questo vi deve servire per capire che ci sono tanto programmi quanto missioni che possono essere in condivisione tra più ministeri. Pertanto la composizione del bilancio dello stato può essere rappresentata sinteticamente attraverso gli stanziamenti delle singole missioni, i quali a loro volta sono raggruppati in nove aggregati di spesa: previdenza e politiche di sostegno, salute ed istruzione, servizi istituzionali, interessi sul debito, servizi pubblici, affari economici, trasferimenti agli enti territoriali, fondi da ripartire ed infine l’aggregato “cultura, ambiente e qualità della vita” che rappresenta l’aggregato di spesa a cui sono imputate meno risorse in assoluto. Solo con questa prima rappresentazione è possibile comprendere che i primi due aggregati ossia previdenza, assistenza, salute ed istruzione assorbono quasi il 45% della spesa di bilancio dello stato.
Ed ora passiamo alla Legge di Stabilità, più conosciuta un tempo come Legge Finanziaria o manovra economica, come dice la parola stessa rappresenta una Legge dello Stato che definisce la politica di bilancio adottando di anno in anno norme di coordinamento della finanza pubblica nei vari livelli di governo allo scopo di rispettare i requisiti di convergenza finanziaria (deficit/pil e debito/pil) imposti dal Trattato di Maastricht. La Legge di Bilancio per il triennio 2019-2021 si compone di interventi programmatici volti a ridurre il carico fiscale per i cittadini e le imprese, la completa disattivazione per il 2019 delle cosiddette clausole di salvaguardia (ossia gli aumenti automatici delle aliquote IVA e delle accise sui carburanti) ed al contempo l’estensione dell’ambito di applicazione del regime fiscale forfettario agevolato, elevando a 65.000 euro la soglia di ricavi e compensi per l’accesso ai benefici di legge. La manovra nel suo complesso comporta tuttavia un peggioramento significativo del deficit per gli enti di previdenza il quale risulta ascrivibile alle nuove modalità di pensionamento anticipato dei lavoratori (leggasi Quota 100) e all’istituzione del reddito di cittadinanza. Ancor più rilevante è il dato che conferma il finanziamento del servizio sanitario nazionale con oltre 114 miliardi per il 2019 ed un incremento di un miliardo rispetto all’anno precedentemente, una previsione di 117 miliardi per il 2020 e di 120 miliardi per il 2021. Nel suo complesso il SSN assorbe quasi il 18% del totale della spesa pubblica stimato per il 2019 in 638 miliardi di cui 79 riconducibili agli interessi per il rifinanziamento del debito pubblico. In sintesi estrema pertanto sanità ed oneri finanziari sul debito assorbono il 30% della spesa pubblica nazionale.