Come non ricordare la suggestiva copertina dell’Economist dei primi mesi del 2013 in cui veniva rappresentato Abe Shinzo, primo ministro giapponese, come un nuovo super man pronto a scuotere e rilanciare un affossato Paese del Sol Levante. Le sue audaci scelte di politica economica e politica monetaria sono state definite simpaticamente con il termine di Abenomics. Oggi a distanza ormai di quasi due anni dal suo insediamento, i suoi interventi più che audaci si possono definire piuttosto fallimentari. Andiamo per gradi e cerchiamo di rappresentare cronologicamente il tutto: Abe (in Asia prima si scrive il cognome) ha provato a risollevare le sorti del Giappone piombato ormai in una depressione economica proponendo un programma di interventi incentrato su tre campi di azione, politica monetaria, politica fiscale e riforme strutturali. Proprio la sua proposta di politica monetaria gli ha consentito di guadagnarsi la copertina dell’Economist. Infatti Abe ha avviato un quantitative monetary easing ancora più espansivo di quello della Federal Reserve, in sostanza un aumento massivo come non si era mai visto prima della base monetaria con lo scopo di acquistare debito pubblico di nuova emissione necessario per finanziare gli investimenti statali.
Il target previsto era stato indicato in un aumento di 50.000 miliardi di yen all’anno (corrispondenti a 500 MLD di USD) con lo scopo in parallelo di riportare l’inflazione ad un livello fisiologico del 2% entro due anni. L’aumento della base monetaria ha prodotto un consistente deprezzamento dello yen nei confronti del dollaro durante il primo semestre del 2013, generando ovvi effetti benefici sull’export nipponico, in difficoltà da un decennio a causa della concorrenza cinese, di riflesso la borsa si è apprezzata della stessa percentuale. Oltre a quanto sopra il primo ministro giapponese si è dato anche come ulteriore obiettivo l’aumento annuo della spesa pubblica per 1.5% del PIL con la possibilità di sconfinare sino ad un deficit complessivo del 10% (ricordiamo che in Eurozona la soglia del 3% è considerata un livello di allarme). Nel 2014 l’effetto novità si è presto esaurito, infatti il PIL su base annua è visto in riduzione del 5% e le stesse esportazioni hanno iniziato a contrarsi a causa delle diffcoltà che stanno vivendo le economie emergenti: questo dimostra che il 2013 è stato un exploit difficilmente replicabile. Per numerosi commentatori economici si vocifera già di fallimento per l’Abenomics, se si confrontano i risultati sin qui ottenuti con le massive misure intraprese dal governo.
Immaginate infatti di aver stampato denaro ed averlo immesso in circolazione nell’economia nazionale con un bazooka. Le aspettative di ottenere una fase di massiva recovery stando agli approcci keynesiani sarebbero più che ragionevoli. Tuttavia il risultato ottenuto da Abe ha una dimensione veramente modesta, se non completamente fallimentare. Fallimento che potrebbe produrre negli anni successivi degli effetti devastanti per tutta l’economia nipponica. Non a caso si paragona ormai l’Abenomics come il più ambizioso e pericoloso esperimento di politica monetaria al mondo. Recentemente per correre ai ripari, il primo ministro ha dovuto anche alzare l’imposta sul valore aggiunto (dal 5% all’8%) per tentare di compensare le minori entrate prodotte dai consumi interni: è inutile far finta di non vedere, il Giappone sta pagando il conto di una assenza di politica immigratoria virtuosa (99% della popolazione è di origine autoctona), una crisi demografica che sembra non avere soluzioni e l’ascesa della concorrenza cinese nello scenario mondiale. Ricordo che ad inizio del 2013 quando venne presentata l’Abenomics, i vari bloggers e politici improvvisati sbandieravano la stampa di denaro come la soluzione alla crisi. Bisognava secondo loro clonare quanto stava implementando il Giappone.
Il tempo ha dimostrato che l’aumento della base monetaria o la cosiddetta sovranità monetaria non rappresentano più strumenti efficaci alla risoluzione delle crisi, strumenti incapaci di far invertire il senso di marcia in quanto l’economia di un Paese oggi è determinata da variabili che i governi o i banchieri centrali non possono più condizionare: come ad esempio la concorrenza tra diverse aree geografiche, il rapporto di cambio (la Svizzera si sta scavando la fossa con il floor al 1.20), la fiducia che ripongono i consumatori sul futuro, la competitività del mercato del lavoro e soprattutto le dinamiche demografiche. Più che la sovranità monetaria, oggi conta la stabilità monetaria ovvero il fatto che i vostri beni ed il vostro patrimonio siano preservati, tutelati e mantengano nel tempo il valore. L’Europa, nonostante le LTRO nel 2013 e le TLTRO del 2014 da parte della BCE, sembra stia imbucando la via giapponese, ovvero almeno dieci anni di deflazione. Infine per chiudere ricordate sempre che un aumento indiscrimanto della base monetaria rappresenta un imposta, una tassa il cui peso ed onere lo potrete quantificare a distanza di anni. Non esistono soluzioni ticketless. Si tratta di una trasformazione epocale di tutta l’economia mondiale a cui nessun banchiere centrale è in grado di contrapporsi.