Abbiamo archiviato il 2017 con un climax finanziario in crescendo continuo nell’apoteosi della compiacenza e dell’esuberanza. Sulla stampa finanziaria si sprecano le dichiarazioni positive che tutto va bene ed i rischi che avevamo ad inizio 2017 sono ormai stati sterilizzati. Infatti tornando indietro ad un anno fa l’agenda politica che attendeva l’Europa era fonte di preoccupazione trasversale, sia per le istituzioni sovranazionali che per le case di gestione. Pensiamo solo alla ridondanza mediatica delle elezioni presidenziali in Francia. Tra un mese le elezioni italiane potrebbero trasformarsi nel tanto vituperato cigno grigio ovvero un paese fondatore dell’Unione Europea che si appresta ad essere guidato da forze politiche decisamente ostili all’attuale establishment europeo. Questo sia in caso di una vittoria sorprendente del M5S o di un cambio di registro a guida liberale che dovrà dar voce e spazio anche a componenti anti-sistema come la Lega e Fratelli d’Italia. L’esito delle elezioni sancirà in ogni caso due fallimenti. Quello di Renzi e di quello che resta di uno sterile partito completamente allo sbando per aberranti prese di posizione sull’immigrazione e per mancanza di lungimiranza sulle noti e vergognose vicende bancarie che hanno caratterizzato lo scenario finanziario del Paese negli ultimi tre anni. Come secondo fallimento troviamo invece quello di un’intera nazione incapace di dar vita ad un ricambio generazionale della classe dirigente: in quasi 25 anni dalla fine della Prima Repubblica ci ritroviamo ancora con proposizioni di pensiero politico inconcludenti e fallimentari.
Guardando le liste dei candidati da destra a sinistra, passando per le aree neutrali, al di là di pochissime eccezioni quasi al limite del miracolo politico, ci si rende conto che la prossima composizione parlamentare sarà una delle peggiori degli ultimi cinquant’anni. Un parlamento assemblato più per compiacenza e volubilità che per competenza e credibilità. La possibilità di trovarsi con il post elezioni innanzi ad una conclamata incapacità di presentare un esecutivo credibile per tempi e modi apre le porte ad un ennesimo governo di nessuno, calato dall’alto, nell’interesse delle elite sovranazionali. Vi è di più. Il voto italiano infatti in caso di un esito inaspettato potrebbe trasformarsi in quel trigger event che apre il vaso di Pandora in Europa. Quello che non è riuscito a fare la Francia, magari riuscirà proprio al Vecchio Stivale. In parallelo alle vicende politiche italiane, che potrebbero impattare rovinosamente sui mercati finanziari europei abbiamo anche il quadro macroeconomico negli States e in Asia che inizia a manifestare la sua oggettiva criticità. Sono più che numerose le esternazioni di investment house internazionali che allertano sulla insostenibilità delle quotazioni finanziarie tanto dell’equity quanto del debito obbligazionario, soprattutto quello governativo. Citiamo per far comprendere questo punto solo i recentissimi warning della scorsa settimana di UBS, Deutsche Bank, CitiGroup e Barclays, tutti all’unisono sull’attuale scenario di mercato, il quale dovrà in qualche modo metaboilizzare l’impatto che avranno i cambi di politica monetaria delle due principali banche centrali al mondo.
La stessa BCE si appresta a modificare a breve la sua forward guidance rispetto ai precedenti programmi di QE per far fronte al rally dell’euro sul biglietto verde di queste ultime settimane. Inflazione poco sotto controllo negli States e rapporto di cambio euro/dollaro trasformatosi nuovamente nella variabile finanziaria impazzita potrebbero auspicabilmente produrre un repricing sulle quotazioni di numerose asset class (significa che le quotazioni scendono). Nel male questo rappresenta tutto sommato una buona notizia, in quanto le case di gestione potrebbero in tal senso contare su mercati più interessanti in termini di prezzo. Proprio Barclays, per voce del suo amministratore delegato, durante il consueto Word Economic Forum di Davos, ha allertato di una pericolosa e preoccupante analogia di mercato con il 2008, vale a dire mercati in situazione di ipercomprato e banche centrali principali responsabili dell’outlook finanziario. Ricordiamo infatti a tal proposito l’essenza e l’origine della crisi dei mutui subprime. L’indice S&P500 è passato dai quasi 700 punti del primo trimestre del 2009 agli oltre 2800 di questi giorni, con una performance del 400%, considerata la migliore in assoluto dal dopoguerra ad oggi. Dall’elezione di Trump, lo stesso indice si è rivalutato di quasi il 40%: dedicare tempo a visionare questo grafico può far comprendere dello stato attuale delle cose. Gli allarmi stanno suonando da un mese e sappiamo per evidenza che ad un rally brutale senza respiro, spesso troppo enfatizzato, succede una correzione o crollo di intensità e violenza analoga. Il Bitcoin insegna. La maggior parte dei portafogli in fondi degli italiani sono costruiti purtroppo mediante fondi direzionali o peggio con soli prodotti a replica passiva.
In precedenti redazionali e videoclip ho rappresentato l’importanza di ricreare una composizione di portafoglio negativamente correlata al cui interno sono inseriti strategie di investimento e non solo e semplici asset class. Per farvi comprendere questo passaggio date uno sguardo al vostro portafoglio attuale: se tutti i fondi stanno performando è il caso di iniziare a preoccuparsi. Significa infatti che sono tutti positivamente correlati. Se il mercato (azionario od obbligazionario) sale, allora anche tutti i fondi salgono all’unisono senza significativa distinzione. In caso infatti di una virata improvvisa del sentiment di mercato può accadere di ritrovarsi la performance di portafoglio che passa da verde a rossa in appena poche sedute. In Italia la maggior parte dei fondi collocati e pubblicizzati tramite canale bancario sono obbligazionari ed azionari unidirezionali, se tutto va bene qualcuno è dinamico. Pochissimi all’interno dei portafogli sono flessibili o meglio ancora market neutral o absolute return. Già il nome di queste categorie dovrebbe farvi comprendere la loro essenza: fondi di investimento che cercano di performare a prescindere dall’intonazione dei mercati, sia che salgano o che scendano. Naturalmente questo presuppone uno stile di gestione molto attivo in cui il benchmark non è un indice azionario od obbligazionario, ma un livello prefissato di possibile remunerazione assoluta. Per dare un aiuto pratico ai lettore della community a comprendere queste tematiche e con la necessità di inserire all’interno del proprio portafoglio anche dei comparti di investimento market neutral che abbiano tali caratteristiche ho redatto come ogni anno il consueto report Active & Global il quale si differenzia dalle passsate edizioni per questa specifica necessità.