Nelle epoche passate della storia del capitalismo umano si è sempre avuto uno scontro ed in taluni casi addirittura una lotta tra due diverse fazioni antagoniste: aristocratici e plebei, latifondisti e braccianti, capitalisti ed operai ed infine globalisti contro sovranisti. La vecchia classe dirigente perde colpi tanto a destra quanto sinistra perchè non è più in grado di leggere e comprendere i mutamenti socioeconomici che caratterizzano i due primi decenni del nuovo millennio. Quest’ultimo nasce all’insegna della disuguaglianza sociale su tutti i possibili fronti di scontro: mercato del lavoro, distribuzione della ricchezza, accesso alla prima casa e soprattutto sperequazione salariale. Questa volta si tratta di disuguaglianza verticale e non orizzontale tra i diversi ranghi sociali. Si tratta di una disuguaglianza tra padri e figli, che per la prima volta mette a rischio il patto generazionale che ha sorretto lo sviluppo economico di intere epoche storiche. Per usare una terminologia povera sul piano lessicale possiamo dire che i figli stanno e staranno sempre peggio dei padri. Le giovani generazioni stanno infatti sostenendo uno sforzo economicamente controproducente per il futuro delle economie avanzate in Europa, vale a dire il delicato ed insostenibile rapporto tra la forza lavoro giovanile e la parte della popolazione più anziana che percepisce una rendita pensionistica.
Potrà sembrare un argomento socialmente secondario anche in Italia vista la ridondanza mediatica che al momento hanno temi come l’immigrazione o il reddito di cittadinanza, tuttavia rappresenta il tema principe per ogni economia europea a cui ovviamente non si vuole più di tanto prestare attenzione per ragioni di deterioramento del consenso elettorale. Tale disuguaglianza, storicamente mai manifestatasi nel passato, vale a dire che i figli godranno di condizioni di vita peggiori di quelle dei padri, può risolversi solamente attraverso il verificarsi di una o più delle seguenti quattro condizioni socioeconomiche: un conflitto militare (rischio molto contenuto), una rivoluzione sociale (rischio oggettivo), il collasso dello stato sociale e delle finanze pubbliche (molto plausibile) ed infine una pandemia (rischio sostanzialmente inesistente). Quanto appena esposto può sembrare una visione catastrofica, tuttavia abbiamo la certezza che il quadro socioeconomico della nostra epoca non si potrà riformare o gestionare attraverso la concertazione pacifica tra le varie parti sociali. Non esiste in tal senso una soluzione win-win. Qualcuno dovrà perdere e rimetterci, economicamente parlando. Guardando a quanto accaduto in questi ultimi cento anni, per riuscire a redistribuire reddito, patrimoni mobiliari ed immobiliari e garantire una nuova sostenibilità economica infragenerazionale, abbiamo dovuto affrontare una depressione economica, un conflitto militare mondiale ed anche una rivoluzione politica mondiale (la caduta del comunismo nel 1989).
La politica attuale (anche in Italia) con tutte le sue varie manifestazioni di governo non è concepita per produrre e favorire shock endogeni necessari ad un cambio di marcia. Pensate solo al tanto sbandierato shock fiscale di cui tanto si parla da anni in Italia: nessuno ha il coraggio di accendere la luce verde. Rispetto a cento anni fa il nostro scenario epocale è molto più delicato e complesso: questo a seguito dell’invecchiamento della popolazione occidentale, l’avvento dei robots in sostituzione della manodopera operaia e la globalizzazione del mercato del lavoro. Le giovani generazioni dovranno per questo sopportare una fiscalità in continua ascesa per garantire il welfare attuale ed il pagamento delle rendite pensionistiche attuali. Come effetto collaterale a questo outlook dovranno cercare di risparmiare su tutto al fine di crearsi risorse finanziarie a titolo personale di cui disporre quando toccherà a loro entrare nella terza età. Quello che viene risparmiato per definizione non viene speso: questo significa togliere linfa ed impulso ai consumi i quali a loro volta impatteranno ancor di più sulla crescita economica complessiva ed imporranno un continuo ritocco al rialzo alla fiscalità diffusa. Questo scenario è una diretta conseguenza dell’invecchiamento della popolazione ed al crollo delle nascite, le quali a loro volta sono indotte da una impossibilità di pianificare la propria vita stante le nuove leggi economiche imposte dalla globalizzazione.
Se la crescita economica mondiale diventa fiacca e stagnante a causa dell’invecchiamento della popolazione mondiale in Occidente, allora state certi che lo diventeranno anche i rendimenti degli strumenti finanziari tradizionali (soprattutto quelli obbligazionari). Bassi rendimenti finanziari obbliga a risparmiare sempre di più da entrambe le parti, tanto ai padri quanto ai figli. I primi per generare un flusso di income aggiuntivo alla pensione sociale, i secondi per costruire un capitale possibilmente consistente da mettere a reddito nel futuro e da cui dipendere in via preferenziale come sostegno per la loro vecchiaia. Oltre alla disuguaglianza sul trattamento pensionistico tra padri e figli, abbiamo anche per la prima volta la certezza della crescente povertà infragenerazionale. Vale a dire che iniziando dal 2000 ogni nuova generazione è matematicamente più povera di quella precedente: tanto per citare alcuni dati numerici la ricchezza media di un i-Gen (appartenete alla Z Generation) oggi si attesta ad un misero importo di appena 5.000 euro, quando la precedente generazione (ossia quella dei millenials, i nati tra il 1981 ed il 1995) poteva contare su un importo cinque volte più elevato a parità di potere d’acquisto. Chi apparteneva invece alla Generazione X poteva fare affidamento a dieci volte tanto quanto risparmiato dagli i-Gen. Per questo motivo le generazioni più giovani sono maggiormente affascinate e sensibili alle proposte politiche più radicali ed eversive, nella speranza che questo possa effettivamente portare ad un qualche cambiamento alo loro percorso di vita.